E’ con tanto piacere che annuncio la nuova mostra di Mario Nalli all’Attico di Fabio Sargentini, di seguito il poco materiale che ho raccolto della mostra che tratterò adeguatamente quando sarà visitata.

Mario Nalli su Instagram e una piccola biografia.
Invito di Fabio Sargentini:
Cari amici, questa di Nalli, dopo Canogar e Di Stasio, è la terza mostra del ciclo “Arte da teatro”. Mi proponevo di superare la tradizionale scenografia dipinta non, come si usa da tempo, sostituendola con la proiezione di un video, bensì ponendo l’opera d’arte al centro della scena, per poi darle la vita con luci e suoni. L’operazione di intrecciare pittura e teatro è riuscita in pieno, visto l’interesse che sta suscitando tra voi appassionati.
Venite? Vi aspetto. La mostra è stupefacente.
Le due superfici di Mario Nalli
di Jacopo Ricciardi (vedi bio)
Da vicino la pittura di Nalli appare senza increspature, avvallamenti, priva di grumi e di ruvidità: essa è
una quieta distesa che unifica il riquadro del dipinto, e appare cristallina, quasi dotata di una
trasparenza estrema che, simile a un’acqua pura, mostra l’accadimento sottostante del colore, mosso
per correnti curve o taglienti, su fondi più scuri, immobili e profondi. Porpora, blu cobalto e verde
smeraldo, si uniscono nei dipinti a due o a tre, con effetti di viola e rosa, si dividono a zone legandosi
per sfumature e cangiando in se stessi: viene così formato un impasto solido ed energico che pervade
l’opera, ed esso non trasmette più la personalità del pittore bensì il carattere di quel luogo profondo che
si estende dalla superficie del colore alla superficie del supporto della tela.
Nalli crea un diaframma che si chiude in trasparenza davanti allo spettatore e mostra la propria
profondità che è accadimento di un luogo-altro, chiuso in una grotta e al contempo aperto in un
paesaggio, venato di una luce interiore. Siamo in un luogo irreale eppure assai realistico, un luogo che
suggerisce la sua figurazione più che descriverla: è un astrattismo processuale che emana dall’interno
un potenziale che è figurativo. Il mondo reale che abbiamo intorno sarebbe quindi per l’artista una
conseguenza di una precedente condizione astratta. Si torna indietro al colpo del Big Bang in quanto
eruzione astratta, e subito alle isole di potenziali mondi che esso deduce. L’azione corposa e aerea di
Nalli ci introduce nella possibilità di un diaframma dell’esistenza, quasi che la coscienza avesse un suo
luogo.
Eccoci spinti su una via che sale le molte falde di un dipinto, dal fondo alla cima, scalando la
prospettiva, mentre volano sottili zone piegate più chiare, fogli o libri possibili, là dove si sente una
scrittura iniziare prima di iniziare, un pensiero assente che è già il Big Bang di una coscienza. Così il
caso in un altro dipinto fa apparire parte della fisionomia di un individuo, forse esistito forse no,
destinato ad esistere o a mai esistere, ma presente al di là del reale. Un altro volto domina mostruoso, e
la sua quiete non è ancora tragicità: dramma che sembra non dover mai avvenire. E l’onda, sospesa
nello spazio del teatrino della galleria, recita, muovendo l’inamovibile, e respirando, con il proprio
diaframma a due superfici, dentro il diaframma più ampio e reale del palco che la contiene e protegge,
lanciandola contro se stessa in un giro d’aria universale. Ma prima: la grande tavolozza appoggiata a
terra è striata da velature verticali che si accavallano tumultuose e nascondono la profondità di quei
territori mentali, e, nella stessa sala, in una messa a fuoco circolare, nel mezzo di una distesa di strati
indefinibili fatti da un insieme d’acqua, terra e aria, si solleva, simile al profilo di una lama, un’onda
imprevedibile nel trasparente vuoto.