Lo spettacolo di Luca Guerini “Dorian Gray” tratto dal romanzo di Oscar Wilde è
un’efficace sintesi non solo del contenuto dell’opera, ma anche del pensiero filosofico e
artistico del noto autore inglese dell’Ottocento.
La regia parte da uno studio meticoloso dell’opera letteraria wildiana e dalla sua accurata
e delicata trasposizione teatrale. È un lavoro, quindi, di una grande sintesi e di un abile
concertato delle azioni sceniche portate avanti magistralmente da Aldo Mattia Schiavone,
Simone De Rose, Marta Longo e Romeo Tofani.
Gli eventi scorrono davanti agli occhi del pubblico con una fluidità cinematografica: tutto lo
spettacolo si presenta come un piano sequenza lungo un’ora.
Le luci hanno, in quest’opera, l’importante funzione di evidenziare e colorare accadimenti
fondamentali nonché di immergere nel buio ciò che, secondo il regista, ha poca rilevanza.
E spetta, dunque, proprio alla luce disegnare il concetto di bellezza estetica e di
perfezione del corpo umano. Per qualche breve attimo l’attore che interpreta Dorian Gray
(Aldo Mattia Schiavone) appare nudo sul palco, ma la luce che si posa sul suo corpo ne
sottolinea solo la bellezza estetica inscindibile da quella etica. L’immagine suggerisce allo
spettatore che la bellezza resta tale fin quando è ancora compatibile con la purezza ed
innocenza. Il nudo presente nello spettacolo assume, così, una valenza filosofica.
L’immagine è fugace e priva di qualsiasi volgarità perché mitigata dalle luci soffuse e
riempita di contenuti che rimandano all’arte pura.
La scenografia vive insieme allo spettacolo, anzi, lo muove e gli dà un respiro tutto suo. Gli
ombrelli in scena ispirati dalle opere pittoriche di Jack Vettriano suggeriscono l’idea di un
vento che trascina i personaggi. Il vento in questione è il destino inteso come risultato
delle proprie decisioni ed azioni causate, a loro volta, dalle passioni che i personaggi
hanno.
Vivono una vita scenica interessante anche altri oggetti di scena come la cornice che
rappresenta il ritratto di Dorian Gray e lo specchio.
Lo spazio scenico va ben oltre il palco, e, in alcune scene, questo oltrepassare i limiti
consueti crea un effetto dell’opera d’arte vivente (come viene percepito il protagonista) che
viene sempre più vicino allo spettatore senza spezzare la magia del gioco teatrale.
Suggestivi sono i momenti di commemorazione di Sybil Vaine celebrata dal canto di una
preghiera – il canto che torna nella scena finale in memoria di un ragazzo desideroso, a
tutti i costi, di mantenere per sempre la sua bellezza e giovinezza.
Luca Guerini, si può ben dirlo, ha fatto un buon uso del patrimonio artistico di Oscar Wilde.
Il suo spettacolo è un degno e coraggioso omaggio all’autore.
Olga Matsyna